Tempio di Giove Anxur

"e quelli che arano, Tiberino, le tue balze e le sacre rive del Numico e dissodano col vomere i rutuli colli e le giogaie del Circeo: di questi terreni sono patroni Giove Anxur e Feronia, che si diletta d’una selvetta verde." [Virgilio, Eneide VII, 797-800]

Data di pubblicazione:
12 Marzo 2019
Tempio di Giove Anxur

🏛 L'area c.d. 𝑻𝒆𝒎𝒑𝒊𝒐 𝒅𝒊 𝑮𝒊𝒐𝒗𝒆 𝑨𝒏𝒙𝒖𝒓 è aperta al pubblico con i seguenti orari:

Tutti i giorni

h 9:00-19:00

Tariffe: intero 7 €, ridotto 5 €

 

Informazioni per la visita

 

Il Monte Sant’Angelo, noto anche come Monte Giove (per i Romani Mons Neptunius, 227 m s.l.m.) costituisce l’ultima propaggine dei monti Ausoni, che qui toccano, per la prima e unica volta, il mar Tirreno, chiudendo a sud la pianura pontina.

Alle sue pendici era sorto il centro volsco di Anxur, conquistato dai Romani alla fine del V secolo a.C.. Nel 329 a.C. la città divenne colonia romana e nel 312 a.C. il monte fu aggirato alle spalle dal tracciato della via Appia, che congiungeva Roma con Capua. A quest’epoca risalgono i primi terrazzamenti in opera poligonale sul monte relativi a una prima fase monumentale del santuario, probabilmente legato al culto oracolare già da alcuni secoli, mentre la fase in opera incerta di cui oggi osserviamo i resti risale alla fine dell'età repubblicana, tra il II e il I secolo a.C.

E' tuttora motivo di dibattito la divinità titolare del culto praticato presso il Tempio Maggiore, di cui oggi rimane poco più del podio sulla sua celebre terrazza a dodici arcate: oltre alla tradizionale identificazione con Iuppiter Anxur (Giove fanciullo), divinità protettrice della città, alcuni studiosi sostengono l'ipotesi che si tratti di una divinità femminile quale Venus Obsequens, sulla base di alcune iscrizioni rinvenute nell'area. 

La terrazza monumentale ospitava anche una "roccia oracolare", presso cui, grazie alla risalita di correnti marine, dovevano avvenire dei particolari riti, due piccole cisterne, e la "grotta oracolare", risparmiata dall'opera cementizia all'interno del "criptoportico".

Il cosiddetto Piccolo Tempio (probabilmente il più antico, intorno alla metà del II sec. a.C., con resti di pitture in I stile) è stato di recente attribuito al culto della dea Feronia, probabilmente introdotto nella regione già all’epoca dell’occupazione volsca nel V secolo a.C. Tale culto è attestato anche in altri punti della città: le fonti antiche ricordano la presenza di un Fanum Feroniae (bosco sacro) presso Monte Leano.

La cinta muraria costruita a nord del santuario come sbarramento della via Appia, è probabilmente collegata agli eventi relativi agli scontri tra Mario e Silla, agli inizi del I secolo a.C.; la vittoria di Silla potrebbe aver determinato il progetto edilizio che rivoluzionò la struttura dell'antico santuario, aggiungendovi un'area militare nella parte più elevata (casematte e campo trincerato) e il grandioso tempio (Tempio maggiore), su un alto podio con cella unica e colonne sulla fronte, rivolto verso il porto.

Il santuario di Terracina si inserisce nel quadro dei grandi santuari romani di età repubblicana del Lazio, costruiti tra la metà del II e la metà del I secolo a.C. in posizioni scenografiche e dominanti, su imponenti sostruzioni a terrazze, quali, ad esempio, il Santuario di Ercole a Tivoli e il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, su ispirazione di modelli di origine orientale.

Comune a tutti questi grandi santuari è l'utilizzo della tecnica edilizia dell'opera cementizia rivestita da paramenti lapidei che permetteva la costruzione di imponenti complessi di strutture in tempi rapidi e a costi relativamente contenuti. 

Dopo l’epoca romana il santuario fu distrutto e incendiato e le sue rovine entrarono nell'immaginario collettivo in epoca medioevale con il nome di palazzo di Teodorico. Nell’alto Medioevo, nella zona del cosiddetto “piccolo tempio”, si insediò un monastero benedettino di cui restano alcuni ambienti e affreschi del IX secolo. Altre strutture medievali (resti di una torre quadrata e di mura di recinzione e tracce di frequentazione del XIII secolo) testimoniano la continuità d'uso anche della parte sommitale del colle.

L’area venne definitivamente abbandonata alla fine del XVI secolo, in concomitanza con lo spopolamento della città di Terracina a causa di varie ondate di epidemie. Al 1894 risalgono i primi scavi, condotti dallo studioso locale Pio Capponi, seguiti da quelli condotti da Luigi Borsari due anni dopo. Numerosi e straordinari furono i reperti rinvenuti, inclusi i celebri crepundia (conservati presso il Museo Nazionale Romano nella sede di Palazzo Massimo in Roma), ma anche ex voto in terracotta, oggetti in bronzo e colombe in pasta vitrea, oggi perduti a causa dei bombardamenti e dei saccheggi avvenuti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.